Vallecupola Crocevia di Antichissimi Itinerari

Pubblicato il 13 luglio 2021 • Comune

Il centro storico di Vallecupola conserva ancora la tipica struttura medievale, articolata su una
stradina principale fatta a gradoni, dalla quale si diparte una serie di vicoli che attraverso essa
collegano tutte le abitazioni con il piazzale della chiesa.

Il paese, straordinariamente suggestivo dal punto di vista urbanistico, è dominato da un
imponente torre quadrata eretta sul punto più alto del picco roccioso dove sorgono le case più
antiche a quota 1000 metri s.l.m.; mura spesse oltre un metro circondano la torre nella parte del paese rivolta a Nord; esse dovevano costituire la cinta di difesa dell’originario minuto centro abitato formato al massimo da 5 o 6 case costituenti la villa o villula di Vallecupola con al centro una edicola della Santa Croce.

La villa dovette sorgere in relazione alle caratteristiche salienti della zona, quali il suo enorme
entroterra agricolo e pastorale e la funzione che doveva svolgere la torre in un crocevia di così capitale importanza, collegante le valli del Turano e del Salto. In questo luogo, infatti, si
incrociavano, proprio presso l’edicola della S. Croce, due itinerari antichi: la grande strada
mulattiera che univa nel Medioevo Castelvecchio ossia il più antico centro della Valle del Turano con Valle Cupola, attraverso Campigliano (II’/158, a. 809) e l’Immagine posta sulla Forca tra le montagne di Navegna e Porraglia.

Da quivi questo importante itinerario proseguiva per Sferracavallo, strada di fondo valle tra
Villa Quaita e la sua grancia di S. Maria di Pagaret, raggiungendo poi Rocca Vittiana, la Valle del Salto e i castelli della potente famiglia dei Mareri nel Cicolano.

Il secondo itinerario era costituito dal diverticolo dell’antichissima via consolare Cecilia che,
dal casale di Capannaccia di Longone, si inerpicava lungo la costa del Monte Arino e raggiungeva ugualmente Vallecupola, inserendosi poi sul tracciato precedentemente illustrato di Sferracavallo per raggiungere ugualmente il Cicolano.
Quindi Valle Cupola da torre di controllo di suddetti itinerari comincia ad assumere sempre
più la configurazione di un paesello di alta montagna di una certa importanza, non appena le orde moresche non calcano più i territori contermini in seguito alla loro definitiva cacciata dalla Sabina, operata da Akyprando da Rieti nel 914 a Trebula oggi Roccasinibalda.

Contemporaneamente gli abitanti del paesino di Lucta ossia Autta (1) cominciano a disertare
quell’irrangiungibile scoglio su cui sorgeva il loro paese e insieme a quelli dell’insediamento di Navegna, vanno ad incrementare la misera popolazione di Vallecupola, formando man mano un consistente nucleo di famiglie intorno alla grancia della S. Croce (ora S. Maria della Neve) e a quella di S. Vittorino ricostruita a valle dopo l’abbandono di Autta.

Autta, Vallecupola e Quaita insieme alla villula di Navegna, la cui grancia era dedicata a S.
Maria de Navega (1), non erano altro che degli insediamenti sorti appunto intorno alle graniche, ossia alle chiese campestri del Monastero di S. Salvator Maggiore. Il nome del Santo al quale dette chiese erano dedicate si conosce già dall’anno 1398 rilevato nel Registro delle chiese soggette in quel tempo al Vescovo di Rieti come riportato nella nota.

Ma la funzione che doveva svolgere Vallecupola sin dalla sua più remota antichità, era quella
legata verosimilmente alla pastorizia che consentiva alle famiglie, che vi abitavano, di menare una vita oltremodo impegnativa ma comunque più florida dal punto di vista economico, rispetto agli abitanti dei paesi che confinavano col suo territorio.

Roccucciola apparteneva al territorio di Stipes ed era un minuscolo castello quasi sulle rive
del Turano, dirimpetto a Posticciola; aveva una chiesa dedicata a S. Angelo (Carr/34); i ruderi
del paesino sono riportati come tali nel vecchio catasto pontificio al rettangolo VI con i mappali 771 e 774.

Con la soppressione dell’Abazia di S. Salvator Maggiore estinta da Urbano VIII (1623-1644)

con breve del 12 Settembre 1629, inizia il processo di indipendenza dei castelli soggetti all’omonima baronia e gradualmente la pastorizia da semi-stanziale si trasforma in transumante.

Sappiamo che l’ultimo abbate di S. Salvator Maggiore fu Jacopo Jacopu;zzi nativo proprio di
Vallecupola per come risulta dalla visita pastorale del Cardinale di Bagno fatta il 20 Aprile 1637 alla chiesa di S. Giovanni in Statua in Rieti (De Sanct/27) e che la sua famiglia possedeva quivi una importante residenza, difesa addirittura da una torre della quale rimangono ancora oggi notevoli vestigia.

La più antica notizia circa il numero degli abitanti di Vallecupola I’ho potuta estrarre dalla
visita pastorale del 1781 ordinata dal cardinale Antonio Lante (1737-18L7) per le due parrocchie in cui era allora suddivisa tale comunità. In quell’anno la parrocchia di S. Croce contava 195 anime, mentre quella di S. Maria della Neve 201 anime, assommanti 396 abitanti, cioè una popolazione superiore a quella di Nerola Sabina per lo stesso periodo.

Se il Monastero di Farfa teneva a pascolo, soltanto a Monte Calvo, 10 torme di giumente, 2.000 pecore (C.F. 17154), figuriamoci quante migliaia di pecore doveva possedere l’Abazia di S. Salvator Maggiore nel territorio di Vallecupola; e com’era in uso allora, i parenti dell’Abate erano favoriti in ogni cosa e di conseguenza la famiglia Jacopuzzi dovette primeggiare in rendite e possessi, come si evince dai resti dell’abitazione di questa gens munita di torre di difesa.

La gestione dell’immenso patrimonio abaziale veniva fatta dalla Sacra Consulta laicale il cui
Governatore o Baroncello risiedeva a Longone; attraverso di esso ogni castello abaziale svolgeva una ben precisa attività: il castello di Vaccareccia allevava i bovini, Porcigliano (oggi Fassinoro) i suini, Longone e le altre sue frazioni attendevano all’agricoltura, per così dire, intensiva e Vallecupola allevava ovini ed equini, ossia pecora e cavalle per dirla in lingua paesana.

Mentre nel Cicolano c’erano armentari che possedevano da soli alcune migliaia di pecore (vedi Maoli di Petrella Salto), a Vallecupola il bestiame era numerosissimo, ma era posseduto da diverse e diverse famiglie, ossia la ricchezza era più socialmente distribuita.

In effetti il paese era formato per la quasi totalità da pecorari e allorquando nei secoli passati si innestò – dopo il crollo definitivo della baronia di S. Salvator Maggiore – il processo della grande transumanza verso I’Agro Romano e Pontino, il paese di Vallecupola diventa di colpo il più ricco insediamento di tutto il circondario.

Negli anni trenta il bestiame residente a Vallecupola era composto grossomodo da 12.000
pecore, 300 vacche e 100 cavalle; i più grandi pastori erano allora i Picchi, gli Scacchi, i Serpietri, i Galante, i Silvestri e i D’Ascenzi. Costoro erano gruppi gentilizi sempre pieni di soldi, con le loro donne stracariche di dote, di monili d’oro e d’argento, di molteplici file di coralli e di orecchini di inestimabile valore; per non parlare, poi, degli oggetti di rame che riempivano le loro case.

Insomma fino a tutti gli Anni Sessanta, questo minuscolo paese arroccato ai piedi della più alta montagna che separa i bacini lacuali del Turano e del Salto, pur non avendo fino a quel periodo ancora un collegamento stradale autocarrabile, costituiva una comunità fra le più floride e le più ricche del Reatino.

(tratto da Longone di San Salvatore Maggiore nel Gastaldato di Rieti e nella Massa Torana – 1988 – Comunità Montana del Turano Zona VIII)

di Bernardino Tofani